Testi


Percepibili Evanescenze 

All’artista Rosy Losito piace pensare all’arte come ad un campo d’indagine, che renda visibile l’invisibile e faccia percepire l’essenza prima che svanisca, trasformando quelle evanescenti sensazioni in segni, con la leggerezza del gesto pittorico: è questo il senso della sua ricerca e del suo originale percorso artistico.

Talvolta, racconta Rosy, l’opera nasce da un evento, un ricordo, un suono, e noi come spettatori, tentiamo, davanti alle sue tele, di cogliere, nei segni delle sue composizioni, alcuni indizi. Così, nella personale del 2021, nella serie Mutevoli confini, sono apparsi riconoscibili elementi del paesaggio, o identificabili come tali, in una dimensione ai confini tra l’astratto e il figurativo, ed è sembrato, a coloro che la seguono da anni, un “ritorno all’ordine”, un allontanarsi dalle sue esperienze precedenti.

Negli ultimi suoi lavori, presenti in questa mostra, non sono più distinguibili elementi del mondo reale: prevale una struttura segnica di matrice informale, arricchita dalle ultime esperienze di una nuova scala cromatica e tonale, che sembra portare alla ribalta una realtà parallela a quella visibile e svelarne una interiore.

Le larghe pennellate di colore puro, raramente mescolato, talvolta coperto da successive velature, su uno sfondo generalmente monocromatico, sono segni che hanno un valore, una loro unicità, un significato da leggere, da percepire: niente è lasciato al caso o è superfluo. L’artista ricerca nella composizione un’armonia, una vibrazione di kandiskjiana memoria, un ritmo, visualizzato in molte tele da tre brevi pennellate ravvicinate, come fossero note scritte sul pentagramma di una partitura musicale.

La sinestesia è il grande tema della sua poetica e, insieme con colori e con pennelli, nell’atto creativo, l’artista lascia entrare in campo anche il suono della sua voce, con parole misteriose, dagli echi mistici. Nelle sue performance la pittura e la voce si uniscono al corpo, che diventa esso stesso un segno vibrante nello spazio. Questa fusione di sensazioni, appartenenti a campi sensoriali diversi, è al centro della sua lunga e paziente ricerca, sono mondi solo apparentemente lontani, ma che Rosy ama mettere in relazione, far dialogare. È la sua interiorità complessa, poliedrica, che ha bisogno di spaziare, di provare nuove esperienze, per emergere vivificata e trascinare l’osservatore tra mondi diversi, creando suggestioni inedite.

La gestualità, che accompagna il segno pittorico, è la stessa osservabile nell’esecuzione dello Sgrif, una scrittura dell’anima, stesa di getto sulla tela, formata da segni misteriosi, con un significato arcano, che nasce dal profondo e, in quanto tale, pura da contaminazioni culturali, libera da significati precostituiti: un alfabeto inventato che sembra avere un legame, oltre il tempo e lo spazio, con altri segni, quelli trovati nei reperti del neolitico con i quali l’artista viene in contatto negli anni della sua formazione universitaria, quando partecipa, in qualità di disegnatrice, agli scavi archeologici condotti in un insediamento neolitico nei pressi di Bari, la sua terra natale.

L’esperienza la spinge a riflettere e ad approfondire la conoscenza di altre tracce dell’uomo preistorico, diffuse nel Salento, come i Menhir, blocchi di pietra che si innalzano per metri, considerati oggetti di culto o collegati alla fecondità della terra, e che, rivisitati da Rosy, diventano installazioni. Su supporti di pietra calcarea, i segni di queste opere, tracciati dal pennello su fogli di poliestere, sembrano avere una matrice comune con quelli incisi sulla ceramica degli ipogei e aver assorbito quel senso di mistero originario: con essi il confronto tra due mondi tanto lontani sembra diventare possibile.

Questa ricerca rappresenta la trama profonda del suo lavoro e ha assunto, per l’artista, il valore di azzeramento delle esperienze precedenti, da cui partire per far emergere le risposte a domande che da anni si pone.

Simbolo di questo percorso personale e artistico sono i nidi (2016), queste creature-installazioni, di forma ovoidale, leggere, trasparenti, costruite con una rete metallica, che custodiscono, all’interno, in nuce, un mondo che sta nascendo. Anche se non sono accessibili, sono visibili all’esterno, e alle piccole superfici pittoriche sospese al suo interno sono affidati messaggi di opposto significato: nascita-morte, visibile-invisibile, chiuso-aperto, leggero-pesante.

I linguaggi sperimentati, solo apparentemente diversi, dialogano tra di loro e, dalla tela, la pittura si spinge oltre il cavalletto, diventa aggettante, nelle superfici plastiche sospese alle cornici a cassetta, fino ad occupare sempre più lo spazio vissuto, nelle installazioni, e diventare l’esecuzione di un atto, nelle performance, che li rappresenta tutti.

Non è la negazione della pittura, in tutte le molteplici forme espressive, nelle quali l’artista si cimenta e ci coinvolge, non viene mai meno l’uso dei materiali propri di quest’arte: è piuttosto la complessità della contemporaneità che lo esige.

Lauretana Sciscione



Mutevoli confini

Tra cielo e terra, astratto e figurativo, mondo onirico e reale, trovano spazio i Mutevoli confini, preponderanti nelle dimensioni tangibili eppure docili nel denudarsi allo spettatore. E’ il sogno di un cangiantismo cromatico svelato dalla luce evanescente, un velo che si apre su un universo che è insieme concreto e illusorio, un luogo immaginario e misterioso, specchio dell’imprevedibilità delle leggi del cosmo, della natura sfuggevole delle emozioni, gestite, però, da una costante che è la profondità dello spazio e il suo carattere fluido, fatto di un liquido amniotico in cui è possibile rifugiarsi ogni qual volta se ne avverta il bisogno. In questo mondo parallelo, elogio del qui ed ora, riesce a convivere in modo armonico anche il passato, ascoltato, accolto ed elaborato sino a  coesistere con il presente. Ciò che fu, grazie al ruolo consapevole della memoria, ha trovato la sua autentica collocazione nel ricordo che s’intravede in lontananza, in un gioco di vedo/non vedo  ottenuto grazie alla luce eterea. Gli archetipi di ricerca cognitiva e sfera inconscia si ricongiungono nella creazione artistica, resa posto sicuro e salvifico dal fluido primordiale. In questo sodalizio s’inserisce anche la materia, contraltare del cromatismo onirico, attraverso colori vividi e caldi da cui prende vita la terra. Si svela, qui, la natura tattile ed emozionale della ricerca artistica, la costruzione ludica di un luogo immaginario, dove la composizione acquisisce vita in superficie e, sposandosi con la profondità spirituale del liquido portatore di vita, apre lo sguardo alla dimensione interiore dell’artista, all’introspezione che, se trattata con amorevole cura, approda alla quiete, all’armonia tra macro e microcosmo, tra l’inconscio e la ratio.

Laura Cianfarani


Il segno riflesso.Abbazia di Valvisciolo -Sala Capitolare - 2018– a cura di Vincenzo Scozzarella 

In latino la parola “reflectere” significa volgersi indietro, come la luce, che colpendo uno specchio si ripiega su se stessa e riporta l’immagine di ciò che vi si pone di fronte, o come la mente umana, che medita sull’io individuale per restituire un’interpretazione più complessa e profonda della realtà. L’ultima produzione di Rosy Losito è il prodotto di un riflesso/riflessione: l’opera diventa superficie in cui l’artista proietta esternamente il suo passato artistico, personale, emozionale e lo esorcizza con la ponderatezza e serenità propria di una catarsi maturata dopo un lungo percorso di vita. Lo specchio, superata la più generale concezione artistica di strumento tecnico per l’indagine del rapporto tra spazio fisico, dipinto e percepito, qui è vera e propria figura, dialogante con gli altri personaggi emersi dalla dimensione dell’inconscio, e al contempo si identifica col supporto, un foglio di carta poliestere aggettante dalla cornice, a simulare il getto di una fontana in cui guardare attraverso e riflettersi. L’acqua, citazione allegorica della pianura pontina – che da questo elemento è dominata – vuole sottolineare il ruolo positivo del trasferimento di Rosy Losito a Latina per l’evoluzione del proprio linguaggio, la cui volontà espressiva, però, è sempre ed esclusivamente simboleggiata dall’impiego dello sgrif, scrittura spirituale, irrazionale, fatta di ideogrammi evocanti frammenti archeologici antichi, implicito richiamo alle sue origini pugliesi. Il primitivismo, l’astrazione geometrica, il figurativismo e la trasparenza espressiva proprie della prima produzione dell’artista non vengono assolutamente rinnegate, bensì sono rielaborate fino a rag-giungere un livello altissimo di sintesi formale e concettuale: il modello cezanniano, da sempre ammira-to, in queste carte viene definitivamente assimilato in termini teorici poiché, come il pittore provenzale, Rosy Losito riesce finalmente a ridurre tutta la sua interiorità in una pennellata densa, graffiata di eloquente colore e ad abbandonare la propria gabbia fisica e mentale – la rete spesso presente nei suoi la-vori scultorei, le abnegazioni, i limiti della ragione – per lasciarsi andare felicemente in una libera e tota-le  accettazione di se.    

Elena Damiani                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

StameLexicon: codici universali di Rosy Losito  - 2016 

Non tutti hanno , al mondo, la fortuna di interagire quotidianamente con un Nido di Sgriff, ma, se ne possedessero uno, quale migliore filtro, o terapia preventiva, per iniziare la giornata, che indugiare qualche secondo sulle ramificate e tortuose trasparenze di questo aereo coacervo di gangli nervosi e oscillanti, attraverso le cui trame brilla, attutita, la realtà del quotidiano? Un vedo-non vedo, sogno oppur son desto, che ci ricorda l’infinita possibilità dell’inconscio, dell’onirico, dell’irrazionale, dei mondi interiori pronti ad affacciarsi alla ribalta dell’io non appena chiudiamo gli occhi, e forme primordiali destinate a disfarsi prima ancora d’essere lette, e fulminei barbagli di colore, s’interpongono tra la palpebra scesa e la retina oscurata… Questo, in parte, il mondo astratto e surreale dell’arte complessa di Rosy Losito, caratterizzata dal proliferare delle monadi vaganti, evanescenti e policrome, obbedienti tuttavia, nell’ambito della composizione, ad una precisa disposizione spaziale, e indistintamente dotate di un’altrettanto codificata strutturazione interna. Da questo genere di situazione, l’apertura su di un universo parallelo germinale e staminale, ricco di infinite combinazioni e penetrazioni tra elementi fluidi, trasparenti, veloci e leggeri, forme concluse ma penetrabili come bolle di sapone, sospese in un “caos calmo” di composizioni in realtà orchestrate, dove, a ben guardare, niente è casuale e tutto ha un suo perché. Scritture evanescenti e quasi illeggibili, convolvoli neri come il leggero filo spinato degli Sgriff, codificano e decodificano il mistero di questo inesplorato e inesplorabile cosmo interiore che l’artista tira ormai da anni fuori da sé nell’ottica di una condivisione in divenire continuo. Forme geometriche definite, come il rettangolo rosso all’interno delle monadi in sospensione, o nei “salti” di buchi neri – Il cielo rosso, Menhir, Dialoghi- fanno da comune denominatore all’interno di una produzione, apparentemente leggera, in realtà di grande spessore tra emotivo e razionale, come credo l’anima di Rosy.

Di Marcella Cossu

                                                                                                                                                                                                                                      

Seducenti Evanescenze  -  2015 

L’indiscusso protagonista del creare artistico di Rosy è il colore, la corporeità cromatica che prende forma dalle mani dell’artista, la quale modula sapientemente le diverse gradazioni in pennellate spesse, corpose, in un impasto materico pieno e denso che rimanda alla terra anche laddove prevalgono le tonalità più fredde. E’ un vero e proprio movimento quello cui Rosy dà vita, una danza in cui i toni cromatici, come membra del corpo, ora si espandono verso l’esterno, ora si richiudono al proprio interno, volgendosi verso se stessi in direzione del centro. A questa densità e matericità coloristica fa da controcanto la leggerezza di un supporto sottile, esile, fragile quasi, un rimando ad una dimensione tutta interna e spirituale, la stessa che Rosy ci lascia appena intravedere attraverso le sue scritte, quei graffiti leggeri e sfuggenti che racchiudono la parte più intima dell’artista, quasi illeggibile, decifrabile solo da chi è sinceramente interessato ad entrare nel mondo interiore di Rosy, compiendo così un profondo atto di introspezione.

Laura Cianfarani

                                                          

Indizi - 2011 

In un tempo artistico dove appare tutto già detto, fatto, sperimentato e analizzato, emerge l’arte “parlata” di Rosy Losito: l’azzardo del suo linguaggio espressivo, del suo paradossale ermetismo, la carica emotiva che dona corpo e anima alle storie dei suoi passaggi da un momento esistenziale all’altro, raccontati tramite improvvisazioni segniche e colori. I colori appunto, variabili e armonicamente accostati, ora caldi e passionali come il sole della sua terra d’origine, ora freddi e attraenti come una dimensione ancora da esplorare e da abitare. Rosy non abbandona mai del tutto una sorta di latente figurativismo, conserva del suo battesimo artistico, alcuni elementi riconoscibili e familiari, per approdare ben presto ad un particolare linguaggio informale. Una poetica modulare di forme dettate ora dal ricordo e perciò caratterialmente nette e solide, ora schematicamente libere dalla conoscenza e per questo movimentate ed in continua evoluzione, forme che si sfiorano, fino a compenetrarsi, che si adagiano delicatamente su fondali neutri, come parole su di un foglio bianco. Quelle parole che sono il cielo e la terra di ogni sua singola opera, parole che nascono come input improvvisi divengono gradualmente gesti, linee e segni arrivando a delineare frasi di un linguaggio personale, denominato da Rosy SGRIF, una lingua che la voce non esprime verbalmente, per pudore o rispettosamente per non “sporcare” la soggettiva lettura altrui.

Francesca Piovan                                                                                                                                                                                                                                                               

"La porta rossa" – Palazzo civico – Cisternino (Ba) , 2009 

L'antica struttura della torre, nel centro storico di Cisternino, durante il mese di agosto, ha ospitato la personale di Rosy losito dal titolo: "La porta rossa". Avevo già avuto modo di conoscere l'artista qualche anno fa e i suoi lavori avevano letteralmente catturato la mia attenzione, finalmente ero di fronte ad un tipo di pittura difficile da etichettare, da introdurre in una corrente troppo specifica, ma proprio per questo estremamente personale e geniale. I lavori raccontavano la storia dell'artista, con tutte le sue debolezze, fragilità, ma anche con il grande coraggio di chi tira fuori la sua essenza e non si ferma ad un tipo di espressione "accattivante", o troppo "virtuosistica". I suoi dipinti richiedevano, da parte dell'osservatore, un coinvolgimento emotivo, che lo avrebbe reso capace di penetrare il suo mondo pittorico fatto di essenzialità, di geometrie, ma anche intriso di una grande energia in grado di espandersi, di rompere gli schemi, di non uniformarsi. Quella stessa energia, ma ancora più grande ,più potente, l'ho ritrovata in questo nuovo suo percorso. Entrare nelle sale ospitanti i lavori di Losito, significa avere la sensazione di penetrare in misteriosi meandri che aspettano solo di essere svelati, per poi portare alla luce il centro vitale dell'essere umano. Quelle che erano figure, seppure fortemente stilizzate, sono state inglobate dalle forme geometriche, ma nello stesso tempo, esse stesse sono diventate spazio che si staglia, come nel caso di "Racconto breve I", su uno sfondo scurissimo sul quale vengono incisi segni profondi, quasi una scrittura dell'anima. La comunicazione con l'esterno diventa palese. La trasparenza e la luminosità delle forme si traduce in una sorta di abbandono dei limiti: non c'è contrasto, non c'è chiusura, tutti gli elementi comunicano fra loro. All'improvviso compare, in quasi tutti i lavori esposti, un quadrato di colore rosso che, a mio avviso, può essere considerato un "simbolo", un punto di incontro, una porta (come lo stesso titolo della personale sottolinea) ridotta all'essenzialità. Ma proprio attraverso tale porta l'artista sembra concedersi il contatto, va oltre, supera gli schemi. Non c'è distacco tra l'osservatore e l'opera perchè esiste il mezzo per poter comunicare, il modo di arrivare al "quel" centro vitale dell'essere umano. In "La porta nella foresta" la comunicazione si rende ancora più evidente, il percorso si fa più nitido, si apre un varco tra forme, apparentemente caotiche. La tecnica del "dripping" rende il colore fluido, morbido, libero. Il percorso si conclude con "Prove di vuoto" nel quale il "varco" è diventato uno spazio vuoto dove l'immaginazione dello spettatore può liberarsi, può andare finalmente oltre i confini, può perdersi nel vuoto infinito. Quella di Losito è sicuramente una pittura d'impatto, i suoi dipinti possono quasi essere definiti "appunti di viaggio" capaci di esprimere una grande immediatezza, resa ancora più forte dall'uso del colore acrilico, il quale sembra aver trovato la sua giusta collocazione.

Titti Verni