Testi
Mutevoli confini
Tra cielo e terra, astratto e figurativo, mondo onirico e reale, trovano spazio i Mutevoli confini, preponderanti nelle dimensioni tangibili eppure docili nel denudarsi allo spettatore. E’ il sogno di un cangiantismo cromatico svelato dalla luce evanescente, un velo che si apre su un universo che è insieme concreto e illusorio, un luogo immaginario e misterioso, specchio dell’imprevedibilità delle leggi del cosmo, della natura sfuggevole delle emozioni, gestite, però, da una costante che è la profondità dello spazio e il suo carattere fluido, fatto di un liquido amniotico in cui è possibile rifugiarsi ogni qual volta se ne avverta il bisogno. In questo mondo parallelo, elogio del qui ed ora, riesce a convivere in modo armonico anche il passato, ascoltato, accolto ed elaborato sino a coesistere con il presente. Ciò che fu, grazie al ruolo consapevole della memoria, ha trovato la sua autentica collocazione nel ricordo che s’intravede in lontananza, in un gioco di vedo/non vedo ottenuto grazie alla luce eterea. Gli archetipi di ricerca cognitiva e sfera inconscia si ricongiungono nella creazione artistica, resa posto sicuro e salvifico dal fluido primordiale. In questo sodalizio s’inserisce anche la materia, contraltare del cromatismo onirico, attraverso colori vividi e caldi da cui prende vita la terra. Si svela, qui, la natura tattile ed emozionale della ricerca artistica, la costruzione ludica di un luogo immaginario, dove la composizione acquisisce vita in superficie e, sposandosi con la profondità spirituale del liquido portatore di vita, apre lo sguardo alla dimensione interiore dell’artista, all’introspezione che, se trattata con amorevole cura, approda alla quiete, all’armonia tra macro e microcosmo, tra l’inconscio e la ratio.
Laura Cianfarani
Il segno riflesso.Abbazia di Valvisciolo -Sala Capitolare - 2018– a cura di Vincenzo Scozzarella -Testo Elena Damiani
In latino la parola “reflectere” significa volgersi indietro, come la luce, che colpendo uno specchio si ripiega su se stessa e riporta l’immagine di ciò che vi si pone di fronte, o come la mente umana, che medita sull’io individuale per restituire un’interpretazione più complessa e profonda della realtà. L’ultima produzione di Rosy Losito è il prodotto di un riflesso/riflessione: l’opera diventa superficie in cui l’artista proietta esternamente il suo passato artistico, personale, emozionale e lo esorcizza con la ponderatezza e serenità propria di una catarsi maturata dopo un lungo percorso di vita. Lo specchio, superata la più generale concezione artistica di strumento tecnico per l’indagine del rapporto tra spazio fisico, dipinto e percepito, qui è vera e propria figura, dialogante con gli altri personaggi emersi dalla dimensione dell’inconscio, e al contempo si identifica col supporto, un foglio di carta poliestere aggettante dalla cornice, a simulare il getto di una fontana in cui guardare attraverso e riflettersi. L’acqua, citazione allegorica della pianura pontina – che da questo elemento è dominata – vuole sottolineare il ruolo positivo del trasferimento di Rosy Losito a Latina per l’evoluzione del proprio linguaggio, la cui volontà espressiva, però, è sempre ed esclusivamente simboleggiata dall’impiego dello sgrif, scrittura spirituale, irrazionale, fatta di ideogrammi evocanti frammenti archeologici antichi, implicito richiamo alle sue origini pugliesi. Il primitivismo, l’astrazione geometrica, il figurativismo e la trasparenza espressiva proprie della prima produzione dell’artista non vengono assolutamente rinnegate, bensì sono rielaborate fino a rag-giungere un livello altissimo di sintesi formale e concettuale: il modello cezanniano, da sempre ammira-to, in queste carte viene definitivamente assimilato in termini teorici poiché, come il pittore provenzale, Rosy Losito riesce finalmente a ridurre tutta la sua interiorità in una pennellata densa, graffiata di eloquente colore e ad abbandonare la propria gabbia fisica e mentale – la rete spesso presente nei suoi la-vori scultorei, le abnegazioni, i limiti della ragione – per lasciarsi andare felicemente in una libera e tota-le accettazione di se.
Bozzetti preparatori realizzati in funzione dell’opera finale, schizzi eseguiti di getto senza troppo pensare, proiezioni di immagini oniriche? Come definire questi disegni inediti, mai esposti ma riposti in chissà quale cassetto dell’inconscio? Impossibile definire, presuntuoso interpretare, quando l’artista sembrerebbe richiedere a chi osserva di fermarsi al solo sentire, soffermarsi sulla carta, sull’incisività fisica, mentale ed emotiva del segno. Un segno –un sogno?- che si fa sinuoso o duro, spezzato o morbido e avvolgente, palesando la dicotomia che alberga nel luogo più intimo, recondito e primigenio da cui scaturisce una genesi nell’accezione più atavica del termine, una gestazione, degli embrioni, preludio e grido alla vita. E’ una gestazione astratta e concreta allo stesso tempo: astratta nel momento in cui l’artista, con un atto di grande coraggio, ci schiude una porta sul suo universo emozionale; concreta poiché da queste emozioni, da queste espressioni di passionalità pura nascono forme terrene, materiche, così come è materico il medium artistico, il carboncino, che, riducendo ogni distanza tra percezione e gesto, lascia poco spazio a un’intromettente mediazione razionale, cognitiva, mentale che, qualora ci fosse, altro non sarebbe che invadente e presuntuoso elemento di disturbo. Lo sgrif, scrittura automatica inconscia e arcaica, lungi da essere corollario alle immagini, si pone contemporaneamente a queste, e insieme a loro si fa porta, finestra, specchio che apre e riflette un’introspezione imprescindibile, nonché in questo caso inscindibile, dalla creazione stessa, frutto di compenetrazione tra Femminile e Maschile, che, anche se a volte appaiono distanti, colti in una solitudine melanconica, riflessiva, meditativa, contemplano quella distanza e solitudine come necessario preambolo a un incontro fatto di scambio, sempre con uno sguardo rivolto all’esterno, attraverso quelle famose finestre e porte.Un Io che trova affermazione e trae la sua forza solo quando, dopo essersi attentamente scrutato, si pone in relazione con l’Altro. Una Mater Matuta contemporanea che ora avvolge ora travolge i suoi figli in impeti tumultuosi. E’ qui che prende forma la Creazione Artistica.
StameLexicon: codici universali di Rosy Losito - 2016 - Di Marcella Cossu
Non tutti hanno , al mondo, la fortuna di interagire quotidianamente con un Nido di Sgriff, ma, se ne possedessero uno, quale migliore filtro, o terapia preventiva, per iniziare la giornata, che indugiare qualche secondo sulle ramificate e tortuose trasparenze di questo aereo coacervo di gangli nervosi e oscillanti, attraverso le cui trame brilla, attutita, la realtà del quotidiano? Un vedo-non vedo, sogno oppur son desto, che ci ricorda l’infinita possibilità dell’inconscio, dell’onirico, dell’irrazionale, dei mondi interiori pronti ad affacciarsi alla ribalta dell’io non appena chiudiamo gli occhi, e forme primordiali destinate a disfarsi prima ancora d’essere lette, e fulminei barbagli di colore, s’interpongono tra la palpebra scesa e la retina oscurata… Questo, in parte, il mondo astratto e surreale dell’arte complessa di Rosy Losito, caratterizzata dal proliferare delle monadi vaganti, evanescenti e policrome, obbedienti tuttavia, nell’ambito della composizione, ad una precisa disposizione spaziale, e indistintamente dotate di un’altrettanto codificata strutturazione interna. Da questo genere di situazione, l’apertura su di un universo parallelo germinale e staminale, ricco di infinite combinazioni e penetrazioni tra elementi fluidi, trasparenti, veloci e leggeri, forme concluse ma penetrabili come bolle di sapone, sospese in un “caos calmo” di composizioni in realtà orchestrate, dove, a ben guardare, niente è casuale e tutto ha un suo perché. Scritture evanescenti e quasi illeggibili, convolvoli neri come il leggero filo spinato degli Sgriff, codificano e decodificano il mistero di questo inesplorato e inesplorabile cosmo interiore che l’artista tira ormai da anni fuori da sé nell’ottica di una condivisione in divenire continuo. Forme geometriche definite, come il rettangolo rosso all’interno delle monadi in sospensione, o nei “salti” di buchi neri – Il cielo rosso, Menhir, Dialoghi- fanno da comune denominatore all’interno di una produzione, apparentemente leggera, in realtà di grande spessore tra emotivo e razionale, come credo l’anima di Rosy.
Lievito - Palazzzo M - Latina - 2015 - di Laura Cianfarani
L’indiscusso protagonista del creare artistico di Rosy è il colore, la corporeità cromatica che prende forma dalle mani dell’artista, la quale modula sapientemente le diverse gradazioni in pennellate spesse, corpose, in un impasto materico pieno e denso che rimanda alla terra anche laddove prevalgono le tonalità più fredde. E’ un vero e proprio movimento quello cui Rosy dà vita, una danza in cui i toni cromatici, come membra del corpo, ora si espandono verso l’esterno, ora si richiudono al proprio interno, volgendosi verso se stessi in direzione del centro. A questa densità e matericità coloristica fa da controcanto la leggerezza di un supporto sottile, esile, fragile quasi, un rimando ad una dimensione tutta interna e spirituale, la stessa che Rosy ci lascia appena intravedere attraverso le sue scritte, quei graffiti leggeri e sfuggenti che racchiudono la parte più intima dell’artista, quasi illeggibile, decifrabile solo da chi è sinceramente interessato ad entrare nel mondo interiore di Rosy, compiendo così un profondo atto di introspezione.
Indizi - 2011 - di Francesca Piovan
In un tempo artistico dove appare tutto già detto, fatto, sperimentato e analizzato, emerge l’arte “parlata” di Rosy Losito: l’azzardo del suo linguaggio espressivo, del suo paradossale ermetismo, la carica emotiva che dona corpo e anima alle storie dei suoi passaggi da un momento esistenziale all’altro, raccontati tramite improvvisazioni segniche e colori. I colori appunto, variabili e armonicamente accostati, ora caldi e passionali come il sole della sua terra d’origine, ora freddi e attraenti come una dimensione ancora da esplorare e da abitare. Rosy non abbandona mai del tutto una sorta di latente figurativismo, conserva del suo battesimo artistico, alcuni elementi riconoscibili e familiari, per approdare ben presto ad un particolare linguaggio informale. Una poetica modulare di forme dettate ora dal ricordo e perciò caratterialmente nette e solide, ora schematicamente libere dalla conoscenza e per questo movimentate ed in continua evoluzione, forme che si sfiorano, fino a compenetrarsi, che si adagiano delicatamente su fondali neutri, come parole su di un foglio bianco. Quelle parole che sono il cielo e la terra di ogni sua singola opera, parole che nascono come input improvvisi divengono gradualmente gesti, linee e segni arrivando a delineare frasi di un linguaggio personale, denominato da Rosy SGRIF, una lingua che la voce non esprime verbalmente, per pudore o rispettosamente per non “sporcare” la soggettiva lettura altrui.
Mostra personale - "La porta rossa" – Palazzo civico – Cisternino (Ba) , 2009 - di Titti Verni
L'antica struttura della torre, nel centro storico di Cisternino, durante il mese di agosto, ha ospitato la personale di Rosy losito dal titolo: "La porta rossa". Avevo già avuto modo di conoscere l'artista qualche anno fa e i suoi lavori avevano letteralmente catturato la mia attenzione, finalmente ero di fronte ad un tipo di pittura difficile da etichettare, da introdurre in una corrente troppo specifica, ma proprio per questo estremamente personale e geniale. I lavori raccontavano la storia dell'artista, con tutte le sue debolezze, fragilità, ma anche con il grande coraggio di chi tira fuori la sua essenza e non si ferma ad un tipo di espressione "accattivante", o troppo "virtuosistica". I suoi dipinti richiedevano, da parte dell'osservatore, un coinvolgimento emotivo, che lo avrebbe reso capace di penetrare il suo mondo pittorico fatto di essenzialità, di geometrie, ma anche intriso di una grande energia in grado di espandersi, di rompere gli schemi, di non uniformarsi. Quella stessa energia, ma ancora più grande ,più potente, l'ho ritrovata in questo nuovo suo percorso. Entrare nelle sale ospitanti i lavori di Losito, significa avere la sensazione di penetrare in misteriosi meandri che aspettano solo di essere svelati, per poi portare alla luce il centro vitale dell'essere umano. Quelle che erano figure, seppure fortemente stilizzate, sono state inglobate dalle forme geometriche, ma nello stesso tempo, esse stesse sono diventate spazio che si staglia, come nel caso di "Racconto breve I", su uno sfondo scurissimo sul quale vengono incisi segni profondi, quasi una scrittura dell'anima. La comunicazione con l'esterno diventa palese. La trasparenza e la luminosità delle forme si traduce in una sorta di abbandono dei limiti: non c'è contrasto, non c'è chiusura, tutti gli elementi comunicano fra loro. All'improvviso compare, in quasi tutti i lavori esposti, un quadrato di colore rosso che, a mio avviso, può essere considerato un "simbolo", un punto di incontro, una porta (come lo stesso titolo della personale sottolinea) ridotta all'essenzialità. Ma proprio attraverso tale porta l'artista sembra concedersi il contatto, va oltre, supera gli schemi. Non c'è distacco tra l'osservatore e l'opera perchè esiste il mezzo per poter comunicare, il modo di arrivare al "quel" centro vitale dell'essere umano. In "La porta nella foresta" la comunicazione si rende ancora più evidente, il percorso si fa più nitido, si apre un varco tra forme, apparentemente caotiche. La tecnica del "dripping" rende il colore fluido, morbido, libero. Il percorso si conclude con "Prove di vuoto" nel quale il "varco" è diventato uno spazio vuoto dove l'immaginazione dello spettatore può liberarsi, può andare finalmente oltre i confini, può perdersi nel vuoto infinito. Quella di Losito è sicuramente una pittura d'impatto, i suoi dipinti possono quasi essere definiti "appunti di viaggio" capaci di esprimere una grande immediatezza, resa ancora più forte dall'uso del colore acrilico, il quale sembra aver trovato la sua giusta collocazione.